La rivoluzione si fa un giorno… oppure è questione di un dettaglio alla volta?
Dodici anni sono diventata mamma per la prima volta, e ritrovarmi Sveva tra le braccia era di per sé già una bella rivoluzione, di quelle abbastanza d’impatto, direi.

Pochi mesi dopo, guardando mia figlia crescere pian piano (anzi, a dirla tutta alla velocità della luce), iniziai a pormi le prime domande: “starò facendo del mio meglio?” “sarà una bimba e poi una donna felice?” “che mondo la aspetta?” “cosa posso fare io per il suo futuro?”. Mentre riflettevo su questi e tanti altri interrogativi da neo mamma, uno dei dilemmi più grandi che sono posta è stato quello della sostenibilità .
Sin da quando aspettavo Sveva sembrava che l’unica cosa importante fosse non farle mancare nulla. E così via con la scelta del passeggino, della sdraietta, della radiolina, dei bavaglini e corredini vari, dei biberon “perché non si sa mai, non dovessi avere latte”. Sull’allattamento poi… ognuno pronto coi suoi consigli, ognuno pronto a dire che la stavo viziando troppo e, soprattutto, che il mio latte fosse ormai acqua già a pochi mesi. E fu proprio cercando informazioni sull’allattamento (che io mi ero ostinata a proseguire nonostante i consigli non richiesti) che mi imbattei in una discussione online sui pannolini lavabili, un argomento che fino ad ora era materia sconosciuta per me, se non dai racconti di quando ero neonata io.
Guardavo la pila di pannolini usa e getta che riuscivamo ad accumulare ogni giorno e continuavo a chiedermi se per quelle domande di sopra non potessi iniziare da subito a fare qualcosa, magari scegliendo proprio di partire dai pannolini lavabili!
E così, dopo aver studiato ben bene come funzionavano, i modelli e i tempi di utilizzo partii decisa nel proporre l’idea a casa, per capire se fosse un’idea così bislacca oppure se avrebbero potuto essere un primo passo per lasciare a mia figlia un mondo migliore anche secondo gli altri. Non vi dico nemmeno come fu accolta la mia proposta entusiasta a casa, prima da mio marito e poi da mia mamma, che aveva ancora l’incubo all’idea dei tanti ciripà lavati con me e mia sorella. Mi scoraggiarono talmente tanto che accantonai l’idea un po’ dispiaciuta lì per lì.


Ma, non paga, decisi almeno di provare per me la coppetta mestruale e gli assorbenti lavabili. Se proprio non potevo partire dal salvare il mondo risparmiando alla discarica i pannolini di mia figlia… avrei provato almeno con gli assorbenti. Alla fine dei conti, mi dicevo tra me e me, avrei sempre potuto ripensarci, ma almeno un tentativo volevo farlo.
E fu così che, parlandone anche alle mie due più care amiche, coinvolsi anche loro nelle prime prove. Del resto, ormai il cambiamento era partito, e volevo provare a vedere cos’altro potessi fare oltre alla raccolta differenziata (che sì, a quei tempi ancora sembrava una cosa per ecologisti spinti e non la normalità per tutti).


Dopo la coppetta, che per me fu davvero una svolta grandiosa in termini non solo ecologici ma anche di comodità e di praticità, fu la volta dei fazzoletti e dei tovaglioli di stoffa, e pian piano iniziavo a ripensare a tanti piccoli gesti di ogni giorno in ottica diversa.
Mentre io andavo avanti con le mie prove, un bel giorno mia sorella (l’unica in casa che non mi avesse dato della pazza furiosa alla mia proposta di usare i pannolini lavabili per Sveva) si presentò con un libro appena uscito che aveva finito di leggere da poco, “La rivoluzione dei dettagli” di Marinella Correggia. Mi disse semplicemente: “Leggilo, secondo me ci troverai diversi spunti interessanti!”
E così fu, mia sorella non si sbagliava affatto, e credo che quel libro fosse decisamente la spinta in più che mi mancava per compiere qualche altro passo verso la direzione che avevo già preso. Nel manuale trovai tanti spunti per ecoazioni individuali e collettive da compiere ogni giorno per cercare di Salvare il Pianeta. Che detta così sembra una cosa enorme e di cui non possiamo farci carico, ma che declinata nei capitoli del libro in tanti piccoli “dettagli per la rivoluzione” diventa già più reale e fattibile per tutti.

Il primo passo che ho fatto poco dopo aver letto il libro è stato cercare di cambiare gli ingredienti che portavo in tavola ogni giorno, scegliendo di mangiare il più possibile biologico o comunque locale.

Poi mi sono messa in testa di farmi da sola la mia pasta madre, e pian piano dedicare qualche energia in più all’autoproduzione.

Da lì a poco è nato il nostro piccolo GAS (Gruppo di Acquisto Solidale) che ci ha permesso di scoprire tanti produttori (locali e non) e di reperire tanti degli ingredienti biologici che a quel tempo erano ancora difficilissimi da trovare nei negozi della zona.


Pian piano, sono arrivati anche (finalmente!) i pannolini lavabili per le mie figlie, i prodotti per l’igiene personale e i detersivi ecologici, l’orto sul balcone, un nuovo lavoro che fosse più rispettoso dei nostri tempi familiari, una casa in campagna da ristrutturare con un orto tutto nostro. A guardarle tutte insieme, ora, sembra una quantità di azioni enorme. Un cambiamento che, se me lo avessero detto dodici anni fa, avrei davvero chiamato “rivoluzione”.


Ho riletto di recente questo prezioso manuale per capire sia quante cose fossi effettivamente riuscita a cambiare nella mia vita in questi dodici anni, che quante ne siano cambiate a livello globale. Il “Che cosa posso fare io” e le “Azioni in comune” che il libro propone su tutti i temi trattati (dalla casa, all’igiene personale, all’energia, all’alimentazione, arrivando fino alla mobilità, all’abbigliamento, agli acquisti, al lavoro, all’autoproduzione, all’educazione e ovviamente ai rifiuti) è cambiato profondamente per quello che riguarda il mio vivere quotidiano, anche se rileggendolo e guardandomi intorno mi sono resa conto che non è stato così per tutti.
E così, semplicemente, ho deciso di raccontarvelo, un dettaglio alla volta. Il racconto lo trovate qui e su YouTube.
Vi aspetto!